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L’opera poetica di Giovanni Campus

 

Relazione evento ad opera dello stesso Giovanni Campus

 

 

Ringrazio molto Antonio Masia e ringrazio molto tutta l’organizzazione del Gremio per avermi dato la possibilità di parlare, con questo pubblico di amici della Sardegna, del  mio rapporto con la poesia. Un rapporto che non coincide con la cosiddetta biografia, di cui già ha fatto cenno Masia, perché la biografia ricorda solo  i dati esterni, visibili e documentabili  - (nato in Romagna ottantun anni or sono, l’infanzia trascorsa tra Romagna e Toscana, i miei genitori logudoresi che ritornarono in Sardegna, i miei studi nel glorioso liceo “Azuni” di Sassari, e poi la laurea a Cagliari, con una tesi di letteratura greca, le lunghe esperienze giornalistiche e di critica cinematografica sulla Nuova Sardegna ai tempi di Aldo Cesaraccio, l’insegnamento in diversi licei, prima a Sassari, e poi in Toscana, e poi a Tivoli, e infine a Roma, nello Scientifico “Avogadro” e nel classico “Goffredo Mameli” per  vari decenni , per approdare quindi alla pensione; una pensione operosa, però, dal momento che tre delle mie quattro raccolte di versi le ho concepite e lavorate proprio durante gli anni della pensione, anche se) I motivi fondamentali della mia tematica già erano ampiamente presenti nella raccolta pubblicata con l’editore Laterza nell’ottantatre, Salmo notturno. Non si scrive certo poesia avendo di mira i premi letterari, si scrive per intima necessità. Comunque questo primo libro, Salmo notturno,  entrò nella terna finale del Premio Viareggio, dove fu sostenuto particolarmente  dall’unico poeta presente allora nella giuria, Giorgio Caproni, ma non ebbe il premio destinato all’Opera Prima per l’opposizione decisa di un altro membro della giuria, un notissimo  letterato,  di cui non faccio il nome perché nel mondo dei premi letterari, che è bene frequentare solo lo stretto necessario, bisogna seguire il consiglio del manzoniano padre Cristoforo: “Perdonare, perdonare sempre, sempre, tutto, tutto!”.E chiudiamo subito l’argomento ringraziando, invece, un’altra giuria, quella del premio di poesia “Giuseppe Dessì”, che ricevetti  a Villacidro, nel 2004, per il mio secondo libro, le Mediterranee. Quello che vorrei fare qui stasera è dunque piuttosto  una specie di biografia sotterranea, non visibile, rievocare qualcosa degli stati d’animo essenziali da cui germinarono queste quattro raccolte, le fasi dell’itinerario poetico che ho percorso. Itinerario del quale  daremo qualche esempio con le nostre letture. E prima di tutto voglio citare due libri che furono fondamentali  agli inizi della mia esperienza di lettore e della mia formazione, e che accesero dentro di me la passione per la letteratura, la filosofia, e anche la religione. Questi libri erano  Un uomo finito, scritto nel 1912 da Giovanni Papini, che lessi a tredici e quattordici anni, un classico della letteratura novecentesca, e poi i Pensieri scritti in greco  A sé stesso dell’imperatore e filosofo stoico Marco Aurelio, un libro antico eppure modernissimo sul quale lavorai a lungo per la tesi di laurea e che mi ha fatto compagnia per tutta la vita, anche adesso. Nel mio itinerario poetico influiscono dunque anche letture ed esperienze culturali e di studio, oltre che esperienze di vita. Per quanto riguarda le radici della patria, devo rimandare il lettore ad un componimento che si trova nella raccolta delle Mediterranee, e che si intitola  Le mie patrie, e di patrie ne enumero  cinque: prima di tutto la Sardegna; poi la Romagna, dove sono nato; poi il Casentino (cioè l’alta valle dell’Arno, a nord di Arezzo, in Toscana), dove ho trascorso parte dell’infanzia e dove ho soggiornato molto a lungo anche poi nella maturità; e poi  Roma, dove vivo, dove  ho conosciuto mia moglie e ho costruito la mia famiglia, e infine, ultima ma non ultima, la Grecia, dove ho fatto quattro viaggi, in diversi periodi della mia vita, e che per me è una specie di patria dell’anima.  Tutte e cinque queste mie patrie sono rievocate nei miei versi, in vario modo e in ciascuna delle quattro raccolte. La scelta delle poesie da leggere qui stasera era difficile, ma abbiamo cercato, io e la bravissima lettrice accanto a me (Ilaria Onorato), alternandoci nella interpretazione, di testimoniare sia i temi della Sardegna, sia i motivi  maturati dentro di me, durante gli anni, sui problemi della vita e della morte, della vita di oggi e  delle testimonianze, ancora vive ed eloquenti, dei popoli antichi del grande Mediterraneo, rivissuto  da Nord a Sud, da Oriente a Occidente;  e quindi i temi dell’amore e della giovinezza, e poi quelli della malattia e della vecchiaia, e di questo mondo e dell’altro mondo che tutti ci attende e che ancora non conosciamo. Un gruppo di componimenti, nella terza raccolta, le  Quotidiane,  rievoca la visita che feci un giorno nel cimitero di Venezia, l’isola di S. Michele, alla tomba del grande poeta americano, Ezra Pound. Una collana di una diecina di componimenti, intitolata Lettere a mia moglie, è dedicata invece alla cosiddetta “lirica coniugale”, genere lirico di antiche tradizioni. Infine leggeremo qualcosa anche dall’ultima raccolta, dove ho immaginato che i poeti stessi, accusati di coltivare una attività che sembra sempre più inutile - appunto la poesia -  si trovino raccolti tra loro, in una vera e propria disordinata ma fervida assemblea, a cercar di spiegare a se stessi, prima che agli altri, perché mai  continuino a coltivare la poesia, e a che cosa serva la poesia, e chi si credano di essere i poeti, e insomma che cosa sia, alla fine, questa poesia che attraverso i millenni, attraverso la tanta bellezza e i tanti  orrori di questo mondo, torna però sempre a rinascere, come una pianta sempre resistente, sempre tenace, sempre verde, sempre indomabile, in tutte le civiltà che si sono avvicendate sul nostro pianeta. In questo volumetto stanno due altri settori distinti dall’Assemblea:  c’è un Processo a Majakovskij. Dove diverse voci, di accusa o di difesa, interrogano il poeta  futurista russo sul motivo del suo suicidio, nell’anno 1930, durante l’epoca staliniana, e c’è un lungo monologo di Tersite, il personaggio omerico che nell’Iliade si ribella alla guerra di Troia, e che diventa il  primo esempio di obiettore di coscienza, contro tutte le guerre.

Giovanni Campus
Roma, 24 marzo 2012

 

 

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