Il Gremio dei Sardi
Ennio Porrino: Un Sardo a Roma
ENNIO PORRINO : UN SARDO A ROMA
Conferenza-Concerto di DANIELA SABATINI
( Roma, Palazzo Unar, Casa delle Regioni, sabato 20 giugno 2015 )
Ringrazio il Dott. Antonio Maria Masia, presidente de “Il Gremio – Associazione dei Sardi di Roma” per avermi invitata a tenere questa conferenza-concerto sul compositore Ennio Porrino, che del Gremio fu co-fondatore nel 1948 insieme a Pasquale Marica facendo inoltre parte dei primi Consigli Direttivi. Da tale invito e dal mio intento di ricercare, scoprire e rivelare, attraverso un’ approfondita ricerca musicologica, aspetti inediti finalizzati a dare un nuovo apporto alla bibliografia musicale, è nato anche il titolo dal sapore gershwiniano di questo ritratto musicale; titolo da me scelto sia perché perfettamente in linea con la sede di questa conferenza-concerto sia per delineare, anche attraverso mie esecuzioni di composizioni pianistiche e vocali di Porrino e la prima esecuzione mondiale di un mio brano per pianoforte “In s’ ammentu – A la manière de Ennio Porrino” (la prima composizione che sia mai stata scritta “in memoriam” e nel suo stile) un aspetto, a quanto mi risulta, finora non ancora esplorato della vita e dell’ opera del compositore cagliaritano di nascita e romano d’ adozione. Un sardo a Roma appunto, nato egli nel capoluogo della nostra isola e morto nella Capitale, dopo avervi vissuto fin dagli anni giovanili gran parte della sua esistenza. In quello che fu un rapporto di reciproco scambio e contributo, quanto la Sardegna, sua terra madre, deve alla “continentalità” di Porrino ? Quanto Roma, e più in generale la musica italiana, devono alla sua “sardità” ? Si tratta di due aspetti fondamentali e complementari della sua produzione compositiva che si possono sintetizzare essenzialmente nel dato tecnico maturato nei suoi studi musicali romani con cui egli tradusse ispirazioni tematiche originali o tratte dal ricco patrimonio folkloristico dell’ isola natìa. E’ Porrino emblematica figura musicale della Sardegna, terra di cui fu appassionato cantore, ponendosi egli sulla scia dei numerosi compositori che nella storia della musica hanno reso omaggio alle loro rispettive patrie attraverso sia la rievocazione di temi folkloristici e la trasfigurazione idealizzata di canti e danze nazionali proprie delle cosiddette “Scuole nazionali” fiorite dall’ Ottocento in tutta Europa, sia con le vere e proprie operazioni di “ricupero musicologico” attuate nel Novecento dagli ungheresi Bartok e Kodaly, dal ceco Janacek e, particolarmente nel suo 3° ed ultimo periodo compositivo, dal polacco Karol Szymanowski autore del balletto “Harnasie” ispirato alla vita dei briganti e dei pastori dei monti Tatra. Un’ operazione compositivo-musicologica ideologicamente trasversale ed attuata da esponenti musicali dei Cinque Continenti, ma che soprattutto nell’ Italia dell’ epoca, si connotò di acceso regionalismo musicale, con esiti di italico descrittivismo folklorico spesso oleografico ispirato alle tradizioni musicali, agli usi e costumi, al patrimonio culturale ed artistico delle varie regioni italiane a cui attinse la cosiddetta “generazione dell’ 80” : si pensi agli omaggi all’ Italia di Busoni e Casella, autore quest’ ultimo anche di una “Ninna nanna sarda”, a quanto i veneziani Malipiero e Wolf Ferrari
attuarono per le commedie del loro concittadino Goldoni, al trittico romano “Fontane di Roma”, “Pini di Roma”, “Feste romane” del bolognese Respighi. E proprio dal suo maestro Respighi, Porrino fonderà la sua ideologia non soltanto compositiva ed orchestrale, ponendosi non come semplice epigono ma come uno fra gli ultimi rappresentanti di tale concezione di “italianità”, o per meglio dire “regionalità” musicale, in un’ attenzione alle espressioni popolari anche di terre limitrofe alla Sardegna che gli fa armonizzare a Roma il 25 settembre 1934 la ninna nanna corsa “Dormi dormi u miò anghiulellu”. Non quindi come primo vero traduttore musicale del popolo sardo, perché in tal caso egli fu preceduto vari decenni prima della sua nascita da compositori sardi quali Luigi Canepa (musicista patriota di origini genovesi del quale nel 2014 ricorreva il centenario della morte), quali Giuseppe e Luigi Rachel, Lao Silesu, Gavino Gabriel, l’ etnomusicologo Mario Giulio Fara, e altri. Non come l’ ultimo, poiché la musica sarda contemporanea troverà il suo esponente più alto nel compositore nuorese Franco Oppo, ma come più famoso compositore sardo del Novecento, quale trait d’ union fra antico e nuovo. E la Sardegna dedicherà a Porrino, dopo la sua morte, strade, piazze, scuole, Associazioni culturali, Ensembles, orchestre e bande musicali e soprattutto il Concorso pianistico internazionale a lui intitolato dal 1981 dagli Amici della Musica di Cagliari.
La sardità musicale di Porrino, nato a Cagliari il 20 gennaio 1910, sardo per parte di madre, affonda le sue radici nella sua infanzia ed è già, seppur soltanto esteriormente, visibile in una foto che lo ritrae bambino a Thiesi, in provincia di Sassari, nel 1914 in costume sardo così come i genitori Clemente Porrino e Dolores Onnis e la zia Peppina Onnis. Il ricordo nostalgico della Sardegna, sua terra d’origine che ha lasciato a poco più di un anno di età, rivive in lui sentimentalmente tramite le memorie della madre Dolores Onnis, ed avrà grande influsso sulla sua futura opera compositiva così come le conferenze sul folklore sardo tenute da Gavino Gabriel a cui egli assiste durante i suoi anni giovanili a Pisa ed i lavori dell' etnomusicologo Mario Giulio Fara, come la raccolta dei “Canti di Sardegna” (1923), da cui più volte attinge. Ed è quindi inevitabilmente la Sardegna a costellare il suo catalogo compositivo di lavori ispirati alla sua terra. E’ la Sardegna con le sue storie di amaro verismo, con le sue feste e le sue sagre, la protagonista dei suoi primi lavori importanti entrambi scritti a Roma : il lamento funebre “Attìttidu” (1928) e la lirica “Traccas” (il titolo è di Porrino e indica i carri cerimoniali trainati da buoi, utilizzati nelle sagre e nelle feste patronali in Sardegna), lirica basata su versi del poeta nuorese Sebastiano Satta di cui egli ben conosce l’ opera poetica e con cui si afferma nel 1931, appena ventenne e non ancora diplomato, al Concorso nazionale “La Bella Canzone Italiana” indetto dal Giornale della Domenica (supplemento del Giornale d’ Italia) che vince a pari merito con la “Canzone a stornello” del compositore cagliaritano Luigi Rachel. Nel 1933 egli scrive quella che diventerà la sua composizione più nota e più eseguita in Italia ed all’ estero : il poema sinfonico “Sardegna”, che fin dalla sua prima esecuzione avrà ampia risonanza al punto da venire inserita nei programmi del Festival Internazionale di Amburgo del 1935 in rappresentanza della musica italiana.
Nel 1937 ritorna dopo molti anni a Cagliari in occasione del III Congresso dell’S.N.F.M. e la vita popolare della Sardegna, ora nell’ imponente e lunghissima processione in onore del Santo Patrono di Cagliari, ora in un disperato canto d’amore della Gallura, ora nella violenta ossessività ritmica della danza di un paese del nuorese, gli detterà i soggetti per le “Tre Canzoni Italiane” (1939) un trittico di tre brevi brani corali a 6 voci miste, rispettivamente “Canzone religiosa – la Processione di Sant’Efisio”, “Canzone d’ amore - Disispirata di Aggius” in cui vi è l’ inserimento di un tenore solista, e la “Canzone a ballo - Danza di Desulo” quest’ ultimo brano utilizzato anche per molti anni quale sigla del vecchio “Gazzettino della Sardegna”.
Ma è soprattutto nel 1949 in un suo viaggio più approfondito in quella che il sommo poeta Dante Alighieri definì l’ “isola de’ Sardi”, viaggio quale “recherche” alla scoperta delle sue radici, che egli verrà più direttamente a contatto diretto con la ricca tradizione musicale e culturale della sua madre terra, rivelantesi in tutta la sua drammatica bellezza quale nuova fonte di ispirazioni. Di quello stesso anno è la colonna sonora per il film drammatico del regista sardo Mario Sequi “Altura (Rocce insanguinate)” ambientato in Gallura, del 1950 sono i due mottetti sardi " In su monte Limbara - Sul monte Limbara" e " Tres' arrosas de oru - Tre rose d'oro" , del 1952 le musiche per lo spettacolo teatrale o più esattamente mistero drammatico in versi “Efisio D’ Elia” di Marcello Serra (che verrà rappresentato all’ Anfiteatro romano di Nora), del 1952-57 la suite musicale “Nuraghi”, un altro trittico musicale dedicato questa volta a tre danze primitive sarde : “Danza della Terra”, visione di un paesaggio notturno, “Danza dell’Acqua” , ispirato ancora ad una “madre dolorosa” e “Danza del Fuoco” traduzione dell’ arcaico misticismo dei pascoli della Sardegna. E ancora il poderoso “Preludio” per organo scritto nel 1955 per l’ inaugurazione del monumentale organo Mascioni della Cattedrale di Cagliari, e le musiche per i vari documentari del regista sardo Fiorenzo Serra (fra cui “Realtà del costume”, “Sagra in Sardegna”, “Sardegna nuova”, “San Costantino”, “Il giorno della mattanza”, “Artigiani della Creta”, “Desulo : un documentario”), per “L’acqua dei poeti” (1956) di Gian Paolo Callegari, oltre che per lo sceneggiato televisivo di Mario Landi “Canne al vento” (1958) tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Deledda.
Il ritorno di Porrino a Cagliari nel novembre 1956 come Direttore del Conservatorio “Giovanni Pierluigi da Palestrina”, quel Conservatorio che sorge oggi nella piazza a lui dedicata, amplia i suoi interessi sulla Sardegna al di là del puro dato compositivo e lo vede impegnato fino alla sua morte, nel 1959, in progetti sia didattici legati all’ etnofonia sarda, con l’ istituzione di un corso affidato a Gavino Gabriel e di un Centro di studi e di raccolta del materiale, sia artistici come la creazione di una sezione locale dell’ Agimus e, quale Direttore Artistico dell’Ente Lirico e dell’Istituzione dei Concerti, di un’orchestra stabile e di una nuova sede per il Conservatorio di Musica con annesso Auditorium.
In quegli anni che vedono Porrino appagato oltre che per le sue cariche istituzionali anche per la sua vita privata con il felice matrimonio nel 1956 con la parente Màlgari Onnis, scenografa e costumista, e la nascita l’ anno seguente della figlia Stefania Bèrbera, egli compone ciò che è culmine cronologico ed artistico della sua attività compositiva : il dramma musicale in 3 atti “I Shardana (Gli uomini dei nuraghi)”, una storia
leggendaria degli antichi popoli del mare dalle forti tinte di amore e morte, di guerra e passione, fiero inno di indipendenza ed affermazione dell’ identità isolana ambientato nel periodo nuragico. Su libretto dello stesso Porrino, l’ opera, frutto di una lunga gestazione risalente agli anni ’40 e più volte elaborata dal 1956-59 fino alla definitiva stesura, fu trasmessa dalla Radio Italiana nel 1958 in un adattamento radiofonico con il titolo “Hutalabì” il grido di guerra del protagonista Gonnario e dei cavalieri degli antichi popoli sardi; titolo modificato in quello attuale soltanto pochi mesi prima dell’ esecuzione in forma scenica avvenuta al Teatro San Carlo di Napoli il 21 marzo 1959, sotto la direzione dello stesso autore e con la scenografia ed i costumi della moglie Màlgari.
Ed è significativo notare il forte legame e l’ assoluta identicità fra una delle ultime pagine scritte da Porrino, la nenia funebre di Nibatta dal 3° atto dell’ opera, espressione di un dolore cosmico, alla sua prima composizione più nota : “Attìtidu” Lamento funebre per Soprano e Pianoforte dai "Dieci canti in stile sardo" (1928) ispirato alla statua ”La madre dell’ ucciso” opera dello scultore nuorese Francesco Ciusa la cui versione in bronzo del 1907 è attualmente esposta alla Galleria d’Arte moderna di Roma.
Statua ben nota a Porrino, che fra l’ altro conobbe anche personalmente l’ autore dell’ opera scultorea, ed a sua volta ispirata ad un fatto di cronaca nera avvenuto in provincia di Nuoro negli ultimi anni dell’ Ottocento : un giovane ucciso per vendetta, sua madre che urla straziata di dolore per poi serrarsi in un doloroso assente silenzio da “Mater dolorosa”, come nel 2° movimento del suo lavoro sinfonico “Nuraghi”.
E’ un lamento funebre, chiaramente derivante dalla vocalità respighiana, che reca sotto il testo originale in lingua sarda, anche la relativa traduzione :
Ogni dura pietra si commuova
E si vesta il mondo di tristezza
E le campagne si spoglino di gioia
Lasci ogni pianta la sua fronda
Ed il lamento venga ad ascoltare
Che fa questa mamma triste e desolata
Che piange l’ amato figlio suo
Morto per un caso disastroso.
Contemporaneamente ad “Attittìdu” , Porrino compose a Roma nel 1928 vari lavori giovanili inediti : la “Suite in stile antico” e “Preludio e moresca” entrambi per violino e pianoforte, il “Tormento a vespero” per quartetto d’archi, e i due brani descrittivi “Incendio nella foresta” per pianoforte e “La beffa del campanaro” per pianoforte a 4 mani. Al 1929 risalgono vari lavori inediti come la lirica per canto e pianoforte su suo testo poetico “Quando impazza il vento” datata 6 maggio ed i due brani pianistici
“Meriggio estivo” e “Canto pastorale” , mentre del 1930 sono “Ave maris Stella” per coro a 4 voci e organo, “Sanctus” per coro e organo, “Lauda” per voce solista e organo, il “Preludio” in fa magg. per organo e la lirica per canto e pianoforte “La sorgente d’ amore” che reca la dedica “Ai carissimi cugini Rita e Giuseppe Ciardi nel giorno delle loro nozze 3 marzo 1930”.
Roma è ormai diventata la sua città di adozione e d’ altronde l’ aspetto “romano”, o se si vuole “laziale”, nell’ esistenza e nell’ opera di Porrino non è certo marginale. Il Conservatorio di S. Cecilia, dove studiò sotto la guida del viterbese Cesare Dobici (definito “il migliore didatta di tutta Italia”) e di Giuseppe Mulè, diplomandosi nel 1932, lo vide per ben due volte docente, prima della cattedra di armonia, contrappunto e fuga e, nel 1951 di composizione, e fornirà tema per i suoi primi saggi di critico musicale e musicologo basati su tre brevi resoconti concertistici, a cui seguirà la pubblicazione di un suo scritto più ampio sul canto popolare.
E Roma, con i suoi teatri, vide anche prime esecuzioni dei lavori di Porrino, fin dalle sue prime affermazioni compositive ; all’ Augusteo, glorioso e storico Teatro dall’ acustica meravigliosa sciaguratamente demolito, vennero eseguite in prima assoluta rispettivamente il 30 aprile 1933 e nel gennaio 1934 l’ouverture “Tartarin de Tarascon”, vincitrice del concorso dell’Accademia di Santa Cecilia per il XXV anniversario dei concerti dell’Augusteo, ed il poema sinfonico “Sardegna”.
Al Teatro Argentina venne rappresentato nel 1952 il suo Oratorio per soli, coro, organo e orchestra “Il processo di Cristo” scritto fra il 1948 ed il 1949 su testo della “Vita di Gesù Cristo” dell’ Abate romano Giuseppe Ricciotti, e, sempre all’ Argentina, si tenne nel 1954 la prima esecuzione del “Concerto dell’ Argentarola” per chitarra e orchestra commissionatogli dall’ Accademia di S. Cecilia.
E ancora, il Teatro dell’ Opera ed il Teatro Valle per le rappresentazioni, rispettivamente nel 1956 e nel 1958, del suo dramma in un atto “L’ organo di bambù”. Vanno inoltre citate le varie esecuzioni romane al Teatro dell’ Opera ed alle Terme di Caracalla (1949) del divertimento coreografico su suo soggetto “Mondo tondo”, in particolare, quella postuma del 1960 sulla terrazza del Pincio alla chiusura solenne dei Giochi Olimpici.
A Roma, città che intitolerà a Porrino una via, egli si perfezionò compositivamente al Corso triennale di composizione tenuto da Ottorino Respighi del quale completò, insieme alla vedova del compositore la cantante Elsa Olivieri Sangiacomo, e basandosi sugli appunti dello stesso Respighi, l’ opera “Lucrezia” ispirata a quel filone di opere ispirate all’ antica Roma che, dal “Nerone” di Boito, trovarono grande fortuna nei primi decenni del Novecento, e particolarmente di moda negli anni ’30, come attestano il “Nerone” di Mascagni, il “Giulio Cesare” e “Antonio e Cleopatra” di Malipiero.
Lo stesso Porrino diede il suo contributo a tale genere storico-musicale con la cantata mitologica “Proserpina” (1937) per voce recitante, coro femminile e piccola orchestra e soprattutto con “Gli Orazi” su libretto di Claudio Guastalla, lo stesso librettista della “Lucrezia” respighiana. Opera di accesa “romanità” che negli intenti del suo autore voleva costituire una forma moderna a metà tra l'oratorio profano e lo spettacolo sportivo, “Gli Orazi” verrà rappresentata anche al Teatro Giardino di Cagliari nel settembre 1951, due anni prima della realizzazione da parte di Porrino della colonna sonora del film
"Nerone e Messalina" del 1953.
Ma il legame compositivo di Porrino con la Capitale coinvolge non solo l’ antica Roma, ma anche una più diretta tradizione regionale, come attestano due composizioni per canto e pianoforte (“Il fabbro di Betlemme” del 23 aprile 1930 e la "Canzone romanesca" del giugno 1933) scritte su testo dell’ antiquario e poeta romanesco Augusto Jandolo appartenente, con Trilussa, Cesare Pascarella, Ettore Petrolini, Ceccarius ed altri al cosiddetto "Gruppo dei Romanisti", promotore di un'associazione in favore del teatro romanesco e redattore della “Strenna dei Romanisti”.
E se un omaggio alla terra laziale di cui Porrino è figlio adottivo è la lirica "Monte Circeo" per canto e pianoforte scritta a Sezze Romano nel 1940 su testo dello stesso compositore, va sottolineata la profonda “sardità” del suo “Preludio in modo religioso” per pianoforte, scritto a Roma il 1 novembre 1942. Precedente di pochi giorni la prima esecuzione della lirica per canto e pianoforte ”Il canto della mamma” avvenuta a Roma il 10 novembre dello stesso anno, tale ieratico Preludio risonante di solenne misticismo è profondamente simile all’ “Attìttidu” per la sua atmosfera di arcaica ineluttabile drammaticità che verrà esaltata anche dalla sua successiva variegata orchestrazione “à la maniere de Respighi” effettuata dallo stesso Porrino.
Al di là del tema di questa conferenza-concerto incentrata sulla presenza e sull’influsso stilistico della Sardegna e di Roma nella vita di Ennio Porrino, un ritratto musicale completo del compositore impone comunque alcuni, seppur essenziali, cenni biografici sulla sua presenza, fin dai suoi primi anni di vita, in varie altre città e località italiane. Sfogliando la sua vita come un album fotografico, lo vediamo nelle foto della sua infanzia a Caserta nel luglio 1912 e nel settembre 1913; ancora, con i genitori a Viareggio nel 1918, con la madre a Pisa nel giugno 1920, e sempre a Pisa fanciullo e adolescente nel 1920 e nel 1924 con il suo violino, strumento da lui studiato privatamente. E lo ritroviamo nel maggio 1925 con i genitori e gli zii Giuseppina Onnis e Lorenzo Porrino ad Arienzo, paese allora in provincia di Napoli e attualmente in quella di Caserta di cui è originaria la famiglia paterna. E proprio al 1925 risalgono le sue prime composizioni: due brani per canto e pianoforte di cui scrive anche il testo composti a Fiumetto, località della Versilia presso Marina di Pietrasanta dove trascorse lunghi periodi della sua infanzia e adolescenza: “Tango alpino” del novembre 1925 (che reca la dedica “Ai miei genitori questo primo lavoro”) ed il fox-trot “Bacio di maschera”. E ancora “Sera festiva” per canto, violino e pianoforte su versi di Giovanni Pascoli (datata La Spezia, 15 ottobre 1925 e dedicata “Alla famiglia Rosoni che con affettuoso interessamento ha cooperato per il raggiungimento del mio più grande ideale”). , Sempre a La Spezia, egli compone l’ inedita Sonata per violino (1926) e i due brani inediti per canto e pianoforte, entrambi del 1927, “Canto novo” su versi di D’ Annunzio e “Ninna nanna delle fate” su testo suo e di Vittorio Malpassuti. Preceduti da un suo precoce interesse verso la poesia che lo vide dall’ età di 9 anni scrivere un quaderno di suoi pensieri e poesie da lui stesso intitolato “Bozzetti”, tali suoi primi cimenti compositivi scorrono parallelamente ai suoi studi classici; studi che prosegue fino a 17 anni, per dedicarsi quindi esclusivamente alla composizione.
Sempre a Fiumetto egli compone l’ inedita lirica per canto e pianoforte “Ciò che non fu” datata 15 settembre 1929 e le sue prime composizioni per orchestra : “Tartarin de Tarascon” (estate 1932), il poema sinfonico Sardegna (inverno 1932-33),. “La visione d’Ezechiele - Preludio adagio e corale” per grande orchestra scritta a Fiumetto e a Roma nell’inverno 1934-35. Nella località versiliana, Porrino traccia nella sera del 4 settembre 1935, insieme ad una visione generale sulla sua concezione dell’arte, un “Piano di lavoro” con i suoi lavori già realizzati ed i suoi più immediati progetti compositivi; poche settimane dopo, il 31 ottobre, egli termina di comporre l’ ouverture per grande orchestra “Sinfonia per una fiaba”. Sono quelli gli anni, dal 1932 al 1936 in cui egli compone anche “I tre tambur”, i “Canti della schiavitù” per trio d’ archi (comprendenti “Il Bastimento negriero” impressione per violino e pianoforte, “Il sogno dello schiavo” per violoncello e pianoforte “Indios-danza” per violino, violoncello e pianoforte) i “Canti di stagione”, 4 liriche per soprano o tenore e piccola orchestra (“Notte d’ inverno”, “Mattino d’ aprile nel bosco”, “Afa”, “Autunnale-Ditirambo”), il “Concertino” per tromba in Si bem. e pianoforte, e “Notturno e danza” per piccola orchestra.
Del 1938 è l’ Oratorio radiofonico “E un uomo vinse lo spazio”, commissionato dall'EIAR a Ettore Giannini in memoria di Guglielmo Marconi, mentre del 1939 sono l’ azione coreografica “Altair” e la colonna sonora del film “Equatore” di Gino Valori da cui è tratto il “Valzer di Frida” per canto e pianoforte. Quegli anni “del grande consenso” sono anche gli anni della crescente e definitiva affermazione istituzionale di Porrino che, diventato titolare della cattedra di composizione al Conservatorio di Roma, è nominato membro effettivo dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma e dell’Accademia Luigi Cherubini di Firenze. Sono gli anni della prima scaligera nel febbraio 1941 del suo primo lavoro operistico, “Gli Orazi”, mentre al 1942 risale “Ostinato” per pianoforte scritto dall’ 11 al 16 luglio a Marina di Pietrasanta.
Trasferitosi al nord nel 1943 quale docente di composizione del Conservatorio di Venezia, è inoltre attivo come compositore sia di colonne sonore di film girati a Cinevillaggio quali “Un fatto di cronaca”, “Senza famiglia” e “La vita semplice” (questi ultimi due completati nel 1946) sia del divertimento coreografico “Mondo tondo” che avrebbe dovuto essere rappresentato nel 1945. Nel 1944 scrive inoltre il testo e la musica della “Marcia del Volontario” che, su proposta dal ministro Francesco Maria Barracu, divenne l’ Inno della Repubblica sociale Italiana. Quegli anni di volontario esilio ispirarono la nostalgica raccolta di quindici liriche intitolata “Canti dell’ esilio” per soprano o tenore e orchestra comprendente, oltre a tre liriche greche e liriche italiane su testi di poeti italiani dal Medioevo al Settecento e dello stesso Porrino, tre liriche trobadoriche fra cui “Du bist min” datata “Venezia, 12 maggio 1945”. Lirica che si basa sul testo di un Minnelied, un canto d’amore medievale tedesco, conservato in un codice latino del sec. XII del Monastero di Tegernsee. Così recita la traduzione in italiano dall’ antica lingua germanica del testo di questo canto d’ amore di autore anonimo, che prefigura ben 8 secoli prima i famosi lucchetti dello scrittore Federico Moccia :
Tu sei mia, io sono tuo,
sii certa, è vero.
Tu sei rinchiusa nel mio cuore
La sua serratura è bloccata,
la sua chiave è persa.
Così che non potrai mai uscirne.
Forse ?
Io ti amo, tu mi ami,
quindi blocchiamo le nostre serrature,
gettiamo le chiavi,
Così ci apparteniamo l’ un l’ altra per l’ eternità.
Il dopoguerra vide Porrino dal 1946 al 1949 a Napoli dapprima bibliotecario supplente e Direttore della Biblioteca Musicale del Conservatorio S. Pietro a Majella con l’ incarico di risistemare l’ immenso patrimonio librario di tale Conservatorio; incarico che lo impegnò fino al 1947, quando fu nominato docente di composizione nello stesso Conservatorio. In quegli stessi anni napoletani egli fu critico musicale del “Corriere di Napoli”, pubblicando numerose recensioni ed articoli. In tal senso va sottolineata l’ imponente produzione letteraria di Porrino quale autore di libretti per suoi lavori, pubblicista, musicologo e poeta. Produzione che scorre .parallelamente ad un catalogo compositivo eterogeneo in cui figurano opere, pantomime, composizioni sinfoniche e cameristiche per piccolo ensemble e per grande orchestra, musica vocale con accompagnamento di pianoforte o di orchestra, musica pianistica e corale, esteso dal genere formale della sonata e del concerto al balletto (anche di ispirazione etnica come come “Il ladro di diamanti” di ambientazione sud-africana scritto su incarico della danzatrice Katherine Dunham) a musiche per testi radiofonici e sceneggiati televisivi, colonne sonore di films e documentari ; fra questi “Cotone”, risalente al 1947, lo stesso anno in cui compone a Napoli la “Sinfonietta dei fanciulli” e la “Sonata drammatica” op. 35, una composizione ciclica per voce recitante e pianoforte originariamente scritta per l’ omonimo atto unico dell’ attrice e parapsicologa Nella Bonora della quale aveva musicato nel 1946 “Palude” e “Un mot” raccolti sotto il titolo di “Due fogli d’album” per canto e pianoforte. Va inoltre sottolineata la parallela attività di Porrino quale direttore d’ orchestra con varie compagini sinfoniche quali l’ Orchestra del Teatro Nuovo di Milano (con cui realizza la Sinfonia dall’ opera “Betly – La capanna svizzera” di Gaetano Donizetti immortalata anche discograficamente), l’ Orchestra della Rai “Alessandro Scarlatti” e del Teatro “San Carlo” di Napoli, l’ Orchestra e Coro del Teatro “La Fenice” di Venezia.
E ancora, dopo il suo rientro a Roma, le colonne sonore per i films “Trieste mia!” (1951), “Nei regni del mare” (“Dans les royaumes de la mer”) presentato al Festival di Cannes nel 1952, “Nerone e Messalina” del 1953, anno a cui risale anche il “Concerto dell’ Argentarola” per chitarra e orchestra scritto dal 15 agosto al 25 settembre per il chitarrista Mario Gangi; concerto ispirato all’ aspra bellezza di un isolotto roccioso dell’ Argentario; comprensorio dove Porrino, come è evidenziato anche da una foto del 1958 che lo ritrae al pianoforte nella sua casa di Porto Santo. Stefano, amava trascorrere le vacanze. Del 1955 è il dramma in un atto “L’ organo di bambù” e composizioni corali quali “Per il Natale” per coro ad una voce e pianoforte scritto su invito della Radio italiana e “Notte di Natale e Campane di Pasqua”. Con il suo rientro a Cagliari nel 1956 ed i prestigiosi incarichi legati a tale ritorno, l’ attività compositiva di Porrino sembra sdoppiarsi : da un lato l’ impegno per la composizione de “I Shardana”, dall’ altro creazioni compositive apparentemente più leggere ma in realtà emblematici esempi dell’ inizio di un nuovo percorso creativo denso di vari influssi innovativi, in cui un ferreo integralismo ideologico, compositivo e didattico sembra finalmente infrangersi verso un’apertura ad altri linguaggi musicali che colorano il suo stile (ispirazioni alla musica jazz e a stilemi gershwiniani prefigurati in “Dancing” del 1958, suo ultimo lavoro pianistico e brano di rara esecuzione ed ascolto, inserimenti di serie dodecafoniche, sperimentazioni strumentali, ecc.). Ne costituiscono significativi esempi il vocalizzo “Sàmisen” per soprano o tenore (1957), il Concerto per archi e clavicembalo “Sonar per Musici” (1958), scritto per il prestigioso ensemble “I Musici” ed i suoi ultimi lavori (entrambi su libretto di Luciano Folgore): la grottesca opera in un atto “Esculapio al neon” (1958) e la pantomima “La bambola malata”, che verrà inserita nello spettacolo “Giochi e favole per bambini” ideato da Mario Labroca per il XXII Festival Internazionale di Musica contemporanea di Venezia ed eseguita per la prima volta 15 settembre del 1959. Sarà questo anche l’ ultimo lavoro di Porrino: 10 giorni dopo, il 25 settembre, a seguito di un’ improvvisa e fulminante malattia, egli muore a Roma non riuscendo a realizzare il suo progetto di musicare quattro poesie, fra cui il celebre “Lamento per Ignacio”, del grande poeta Federico Garcia Lorca, martire della guerra civile spagnola. La nave della sua vita si arresta proprio quando, dopo onde sofferte, un’ ondata serena di forza e luce sembrava orientarla verso nuovi luminosi lidi di pacificata libertà.
DANIELA SABATINI
Resoconto Presentazione "IL GREMIO"
Sabato 20 giugno, Casa delle Regioni, via Aldrovandi 16 Ore 18
presentazione del libro “IL GREMIO” di Antonio Maria Masia e omaggio musicale al Maestro
Un pubblico d’eccezione per la prima del libro di Antonio Maria Masia sulla storia della prestigiosa e storica Associazione dei Sardi di Roma “Il Gremio”. Omaggio musicale al Maestro Ennio Porrino.
Sabato 20 giugno è stato presentato a Roma, al Gremio, Casa delle Regioni, il libro di Antonio Maria Masia sulla storia del Gremio dei Sardi di Roma, un lavoro puntuale, preciso e appassionato come è emerso dai numerosi interventi che si sono succeduti nel corso della serata svoltasi sulla deliziosa terrazza di via Aldrovandi nella spettacolare cornice offerta da una falce di luna nascente e dallo sfavillio delle stelle, alla presenza di un folto pubblico, esaurite le oltre 200 sedie disponibili. Ci ha provato una pioggia impetuosa a rovinare l’incontro, ma gli amici del Gremio, non si sono persi d’animo, hanno svolto nelle stanze interne la prima parte dell’incontro dedicato alle musiche di Ennio Porrino e poi hanno ricondotto la scena sulla terrazza per la presentazione del libro. Ad aprire l’incontro è stata Neria De Giovanni, che ha curato la pubblicazione del libro come “Edizioni Nemapress” delineandone la preziosa veste grafica e la presentazione. È stato nei suoi panni di Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari che ha intervistato gli ospiti presenti a partire dall’autore stesso. Antonio Casu, Direttore della Biblioteca della Camera dei Deputati e autore della prefazione dell’opera, con un sintetico ed efficace intervento ha successivamente tracciato le linee essenziali del testo stimolando la curiosità dei presenti. La cultura sarda, come tutte le altre del resto, è definita dal suo popolo, dalla sua lingua e dal suo territorio, tutti elementi cari a coloro che sono andati altrove. Spesso noi emigrati dimentichiamo la nostra provenienza ed eventi o esperienze che ci hanno forgiato esattamente così come siamo, determinando i nostri comportamenti e la nostra essenza. A volte lo facciamo per trascuratezza, a volte perché vogliamo volgerci al futuro, a volte semplicemente perché non vogliamo sapere. Ma prima o poi, nella vita, abbiamo l’esigenza di conoscere, di andare a scavare nel profondo di noi stessi, proprio per evolvere il nostro stato o per placare la nostalgia. La ricerca spasmodica dentro di noi riguarda il nostro passato familiare ma anche l’ambiente dove ci siamo formati, gli spunti culturali che ci ha offerto, le opportunità che ci ha regalato. Si tratta quasi di un lavoro di archeologia volto a scandagliare gli strati nascosti della nostra storia personale, dei nostri incontri e delle nostre scelte, di ciò che abbiamo lasciato e di ciò che abbiamo trovato. E quando poi, una spinta interiore, una volontà di scoperta, un impulso ad abbattere il limite territoriale, ci ha condotto ad abbandonare la nostra terra per aprirci verso altri traguardi, la nostalgia risveglia laceranti ricordi e la necessità di ritornare nei luoghi della memoria per rinascere più forti. È questo bisogno che conduce noi emigrati sardi a confrontarci e a rammentare le nostre radici attraverso circoli e associazione, a ricercare una ricongiunzione culturale e territoriale. Masia, nel suo lavoro fatto di curiosità, ordine, ricerca e catalogazione delle fonti, offre uno strumento utile al mondo dell’emigrazione, trasformandosi da storico ad appassionato scrittore, da Presidente del Gremio a emigrato e interpretando le paure, i dubbi e le aspettative di tutti noi. Questo lo evidenziano i vari ospiti intervenuti, chiamati in causa dalle domande di Neria. Nella passerella si alternano personaggi di spicco come Mario Segni, Giovanni Nonne, Antonio Mulas, Gemma Azuni e gli attori Daniele Monachella e Ilaria Onorato che leggono alcuni passaggi fondamentali del libro. Masia insiste sul personaggio chiave del suo saggio, il fondatore del Gremio Pasquale Marica, nativo di Sanluri, uomo colto e amante appassionato della terra di Sardegna. Grazie a quest’uomo, il cui ruolo rischiava di annegare nella dimenticanza senza il lavoro di ricerca e ricostruzione riportato nel libro, e a un gruppo di intellettuali, nasce il luogo di aggregazione che è la nostra associazione, che con i suoi tre filoni principali di attività (sul piano culturale il Gremio ha da sempre dato spazio, voce, canto e musica ai principali protagonisti di ogni tempo della cultura sarda in tutti i suoi aspetti, sul versante economico-sociale promuovendo la promozione dei prodotti di eccellenza, sul piano socio-assistenziale dando in tempi in cui era particolarmente necessario il sostegno alle famiglie sarde in difficoltà, le Befane, le colonie estive per bambini, ecc.) ha raccolto dal 1948 ad oggi sardi di ogni estrazione sociale e politica, tra cui due Presidenti della Repubblica. Dalla lettura finale fatta da Ilaria Onorato estraggo questa considerazione, da condividere in pieno come ha dimostrato il pubblico presente:
“ Il tutto ha rappresentato e continua a rappresentare per la cultura, la tradizione, la società e l’economia della Sardegna, una splendida vetrina, un preciso punto di riferimento, molto stimato e sempre ben considerato, nella Città eterna. Una storia di cui andare fieri e onorati che ha diffuso e valorizzato le eccellenze della nostra Isola. Ed io ne vado fiero. Una storia che deve continuare.”
Tutto questo è stato preceduto dall’omaggio musicale, nel corso della prima parte nelle accoglienti sale Italia e sala Roma, al Maestro Ennio Porrino, insigne compositore sardo, nato a Cagliari ai primi del novecento. Sono intervenute, sua moglie Màlgari Onnis Porrino, sceneggiatrice, bozzettista e pittrice, sua figlia Stefania docente di arte scenica e regista e il soprano Carla Kaamini Carretti, dando voce al ricordo del grande musicista. Al pianoforte la pianista Daniela Sabatini che ha alternato alcune suonate con un narrato interessantissimo sulla vita e le opere del grande musicista sardo, socio co-fondatore del Gremio nel 1948, purtroppo scomparso a Roma nel 1959 a soli 49 anni. Autore di numerosi lavori fra i quali la grande opera lirica “I Shardana”, di recente ripresentata con grande successo di pubblico e di critica a Cagliari e che speriamo possa trovare spazio nel cartellone futuro dell’Opera di Roma, e numerose colonne sonore per film e sceneggiati televisivi, ricordiamo quella per “Canne al vento” dal romanzo di Grazia Deledda. La Sabatini si è esibita, riscuotendo applausi e consenso, accompagnata per le parti cantate dal soprano, nei brani per pianoforte del Maestro Ennio Porrino: “Attitidu”, “Canzone romanesca”, “Preludio in modo religioso “Du bist Min” “Dancing”. Sul finale la Sabatini, ha suonato per la prima volta, due sue recentissime composizioni: l’una dedicata al Maestro: “In s’ammentu – In memoriam” (A la maniere de Ennio Porrino) e l’altra “Antiga limba” (commento musicale alla poesia in sardo dedicata da Antonio Maria Masia alla lingua sarda “Sa Limba” che era stata presentata dall’autore due settimane prima, il 6 giugno, nel corso dell’evento sulle “Lingue Minoritarie”. Una serata davvero eccezionale da non dimenticare con il “contorno” di un impareggiabile e dolcissimo tramonto romano… dopo la “tempesta”. Patrizia Boi. Roma 20-6-2015
Storia del Gremio
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IL GREMIO (ha + di 100 anni, ma ne dimostra 67!) di Antonio Maria Masia Sommario Prefazione – Presentazione Premessa Capitolo I 35 Capitolo II 83 Capitolo III 101 Capitolo IV 131 Capitolo V 171 Capitolo VI 177 Capitolo VII 203 Capitolo VIII 231 Capitolo IX 245 Capitolo X 267 Capitolo XI 285 Capitolo XII 299 Capitolo XII 307 Capitolo XIV 317 Capitolo XV 329 Conclusione 361 Statuto del 1950 363 Mostra d’arte moderna (Quaderno del Gremio) 371 Indice dei nomi 415 Prefazione di Antonio CasuIl libro che Antonio Maria Masia ha dedicato all’associazione “Il Gremio”, di cui è presidente, è un’opera a più livelli, in parte storia, in parte cronaca, in parte saggio. Ma è allo stesso tempo, e forse soprattutto, una rivendicazione identitaria, un atto d’amore verso la Sardegna, e dunque verso il Gremio, che della terra madre costituisce un’emanazione, una testimonianza, un desiderio di continuità. Lo riconosce l’autore, quando ammette di vivere questo racconto come “un desiderio, un impegno, un dovere da adempiere”. Masia, nel centesimo anniversario della prima concreta e documentabile attività di una associazione dei sardi oltre il limes territoriale della Sardegna (il 1°congresso regionale sardo a Roma del 1914), e a sessantasette anni dalla sua effettiva costituzione con la denominazione che porta tuttora nel 1948, compie dunque una meritoria opera di rivisitazione storica, con linguaggio diretto e immediato, avvalendosi di un rilevante supporto di atti e documenti, dei quali si citano ampi stralci, di un ricco apparato iconografico e fotografico, e anche di memorie e testimonianze, raccolte e conservate sin dalle origini nella stessa cerchia degli animatori del Gremio e nelle pieghe di questa storia si innervano le testimonianze individuali, la cronaca minuta degli eventi, la tessitura delle relazioni interpersonali. Il libro mette in luce le finalità dei fondatori. Innanzitutto la volontà di diffondere i valori delle genti sarde, che costituiscono il vero fattore di aggregazione identitaria dei sardi fuori dei confini dell’isola, ma anche dei valori economici della Sardegna, per aiutarne lo sviluppo. Un’associazione nata «per esaltare e potenziare le risorse morali, spirituali e materiali della Sardegna, parte integrante della grande patria italiana». Una volontà, questa, tenacemente perseguita mediante due principali filoni di attività. Il primo economicosociale, con la promozione dei prodotti di eccellenza, e il secondo socioassistenziale, con il sostegno delle famiglie sarde in difficoltà, le colonie estive per bambini, ecc. In una nota del 26 marzo 1969 il Presidente Salvatore Mannironi, indicando gli ambiti di intervento assistenziale dell’associazione, delinea un realistico ritratto sociologico degli emigrati sardi a Roma nell’immediato dopoguerra, che Masia così riassume: «ragazze sarde in cerca di lavoro, specie come domestiche, operai e manovali alla caccia di una qualche occupazione, persone che chiedono aiuto per problemi previdenziali, che chiedono sussidi, pratiche di patronato, di separazioni familiari, ricoveri ospedalieri, problemi di ragazze madri, di orfani, fughe di giovani, adozioni, ritardi scolastici, scarsità di asili, di scuole materne, carenze a livello di scuole elementari e medie, lavoro minorile...” Un filone, quest’ultimo, destinato a ridursi con il progressivo inserimento sociale dei sardi a Roma. Da questo punto di vista la storia del Gremio è anche, in filigrana, l’attendibile testimonianza del radicamento della comunità dei sardi in Roma, dal dopoguerra ad oggi, e anche del mutamento della sua composizione sociale, della sua capacità di ritagliarsi un ruolo sia nelle istituzioni politiche sia nella società civile. Di questo percorso parallelo, della comunità dei sardi nella capitale e dell’associazione, Masia richiama i passaggi, le tappe, la crescita, ma anche le difficoltà, sia quelle che affondano le loro radici nella cronica limitatezza delle risorse finanziarie sia quelle dipendenti da rivalità personali, divergenti strategie, differenze politiche, ecc. Sin dai primi tempi, si lamenta che «i sostegni finanziari da parte della Regione non risultano né adeguati né ben cadenzati» come del resto la morosità dei soci, ed anche «la nascita non necessaria della concorrenza», cioè la nascita di associazioni concorrenti. A questo proposito sono ricche di amara ironia le parole di Mannironi riservate alla nascita, negli anni Sessanta, di una terza associazione affine. A suo dire «non desterebbe alcuna meraviglia il sorgere, con pari agevole facilità, di una quarta Associazione di corregionali, in omaggio forse alla nostalgica suddivisione quadripartita della Sardegna, nei quattro giudicati di Cagliari, d’Arborea, di Torres e di Gallura. Purtroppo è da riconoscere quanto in noi faccia difetto il senso dell’unione e di fraterna solidarietà che, all’incontro, anima le altre Associazioni regionali che nell’Urbe prosperano, senza alcuna tendenza a scissioni, a proliferazioni o a dannosi disperdimenti, come disgraziatamente avviene fra i Sardi; al punto da avvalorare la giusta quanto fastidiosa sentenza che ci definì “pocos y mal unidos”». Masia non si sottrae dal richiamare le «non poche critiche e polemiche di natura politica, sindacale ed ideologica», che insorsero a seguito della comparsa della concorrenza. Ma rivendica al Gremio una continuità nella distanza dal rischio del collateralismo politico, e dall’accusa di moderatismo politico, mossa ai suoi vertici, in quanto prevalentemente esponenti della Democrazia Cristiana. E lo fa richiamando non tanto la rivendicazione di apoliticità di cui all’articolo 2 dello Statuto, che addirittura vieta «ogni iniziativa, attività, o manifestazione che sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, persegua comunque scopi di propaganda politica», quanto la caratura morale dei suoi leaders storici, da Salvatore Mannironi ad Antonio e Mario Segni e fino ad oggi, e soprattutto la continuità con gli indirizzi del primo fondatore, Pasquale Marica, che si rivolgeva alle élites intellettuali culturali e professionali, al di là di ogni appartenenza politica, individuando valori comuni e alimentando uno spirito di appartenenza unitario, che una affiliazione politica avrebbe irrimediabilmente compromesso. Masia ripropone dunque la visione del Gremio come di un circolo che nasce sì da un gruppo di intellettuali e importanti personaggi sardi della Roma del 194849 ma che, proprio nel rivolgersi alle migliori espressioni della cultura e del lavoro dei sardi nella capitale, supera le divisioni e la diversità degli orientamenti, e si apre dunque potenzialmente a tutti. La carta istitutiva dell’associazione ci rivela che “Il Gremio” si considera come «una fratellanza», «una accolta di uomini eletti» che «si propone l’affratellamento fra i soci, la loro assistenza, la valorizzazione dei sardi, soci o non soci, degni di emergere per onestà, capacità e civismo». Forte, ricorrente e significativo, il richiamo alla fratellanza tra i fondatori e i soci, tanto da creare sin da subito «lo schedario dei Maggiorali», «per dare modo ai Maggiorali di meglio conoscersi reciprocamente e di rinsaldare il loro affratellamento”. I soci del Gremio si impegnano a «sorreggere con la loro autorità e competenza le iniziative (...) prese per esaltare e potenziare le risorse morali, spirituali e materiali della Sardegna, parte integrante della grande patria italiana». È dunque questo impegno che intende assolvere Masia, al quale va riconosciuto l’indubbio merito di avere dato grande impulso al Gremio durante gli anni della sua presidenza, per giunta in una congiuntura tutt’altro che favorevole, dando voce ai protagonisti di questa storia comune, alle diverse manifestazioni del lavoro, del pensiero e dell’arte, sempre attento a far sì che «la valorizzazione dei sardi, soci o non soci, degni di emergere per onestà, capacità e civismo» avvenisse senza preclusioni politiche o ideologiche. D’altronde un simile indirizzo ci pare l’unico conforme allo spirito di quella fondamentale affermazione sopra richiamata, secondo cui la Sardegna è «parte integrante della grande patria italiana». Si tratta di un passaggio chiave, questo, per manifestare quella caratteristica tipica delle classi dirigenti sarde, dal Risorgimento in poi, di essere «devoti alla Sardegna e all’Italia una e indivisibile». E di esserlo rivelando spesso un tratto comune, che non viene offuscato dalla popolarità di alcuni personaggi: la riservatezza, manifestazione esterna di un modo di essere e di lavorare. E così, sfogliando le pagine di questi sessantasette anni di vita del Gremio, ci appare una galleria di volti e personaggi della Sardegna che si sono affermati nel «Continente» in Italia e nel mondo. Politici, funzionari, prefetti, scrittori, giornalisti, ma anche letterati, musicisti, artisti. Nella galleria dei personaggi non compaiono solo le icone della politica, che hanno svolto un ruolo di primo piano tanto nella storia risorgimentale quanto in quella repubblicana: Giorgio Asproni e Giovanni Battista Tuveri, Camillo Bellieni e Francesco Cocco Ortu senior, per giungere ad Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Renzo Laconi, e nel secondo dopoguerra ad Enrico Berlinguer, Salvatore Mannironi, Antonio Segni e Francesco Cossiga, e ancora nel periodo recente Mariano Pintus, Mario Segni e Giovanni Nonne. Compaiono anche i tanti volti che esprimono una reale e intensa capacità di coniugare la memoria con l’interpretazione del presente, di dialogare con altre forme espressive e di sperimentare nuove vie, nella consapevolezza che l’identità si mantiene non in una sterile reiterazione di modelli tradizionali, ma nell’arricchimento che deriva dallo scambio vitale di idee, di esperienze, di linguaggi. E così nella galleria dei personaggi si succedono e si alternano volti numerosi e familiari: poeti, come Salvator Ruju, Ciccittu Masala, Marcello Serra e Sebastiano Satta, e scrittori, da grazia Deledda a Salvatore Satta a giuseppe Dessì; critici letterari, come Neria De Giovanni; giornalisti, come giuseppe Fiori e Luigi Pintor, Giovanni Floris e Pasquale Chessa; artisti, come Maria Lai, Costantino Nivola, Francesco Ciusa, Melchiorre e Pino Melis, Aligi Sassu; cantanti, da Maria Carta a Piero Marras; musicisti, da Gavino Gabriel a Ennio Porrino, da Lao Silesu a Paolo Fresu; attori come Amedeo Nazzari, Ubaldo lay e Marisa Solinas; registi, da Fiorenzo Serra e Piero Olivi alla nouvelle vague dei Gianfranco Cabiddu, Salvatore Mereu, Enrico Pitzianti, Giovanni Columbu e tanti altri. Una galleria di personaggi, di volti, di opere, che ripropone con forza il ruolo di un popolo che, venendo da una propria e antica storia, ha svolto un ruolo leale e coerente nella costruzione dello Stato unitario. In questo essere allo stesso tempo, e coerentemente, fieri custodi di una identità plurimillenaria e leali compartecipi della costruzione dello Stato unitario, in questo essere un ponte culturale tra l’isola e «il continente», e oggi in realtà «i continenti», risiede la missione del Gremio, e di tutte le associazioni dei sardi. A questa missione intende rispondere anche il libro di Antonio Maria Masia. Presentazione di Neria De GiovanniPreparavo un saggio su grazia Deledda quando rileggendo alcune sue lettere mi sono imbattuta in un suo resoconto di una polemica sorta con il quotidiano di Sassari “la Nuova Sardegna”. La Deledda si lamentava di come il giornalista avesse male interpretato le sue parole riferite da un “tale” Marica che era uso andare a farle visita nella sua abitazione romana. Dopo aver letto il bel libro di Antonio Maria Masia su “Il Gremio” capisco che quel ”tale” Marica era invece un uomo di ottima cultura e conoscenza, fondatore del primo nucleo associativo dei sardi a Roma. Così non mi stupisco più se anche in un’altra lettera della Deledda, ho letto di come la scrittrice ricordava la familiare frequentazione con Marica e le sue visite nel salotto “buono” del villino deleddiano. la cultura, e in particolare la cultura letteraria, ha una sua presenza e motivazione fin dalle origini del Gremio. Ben figurano nell’elenco delle attività durante tutti gli anni di vita dell’Associazione, gli incontri, i dibattiti, le manifestazioni, gli eventi che hanno avuto ed hanno come protagonisti gli scrittori e gli intellettuali sardi. Per la completa enunciazione dei nomi rimando volentieri alla illuminata “Prefazione” a questo libro di Antonio Casu. Come risulta dall’accurata e precisa storia qui raccontata da Antonio Maria Masia, il Gremio se all’origine aveva più spiccatamente motivazioni sociali, anche grazie alla personalità di Marica, possiamo dire avesse un animo culturale altrettanto marcato. Quasi che il “nutrimento dello spirito” fosse giustamente sentito come necessario e “socialmente utile”, al pari delle altre, benemerite, attenzioni e beneficenze offerte soprattutto ai sardi della prima emigrazione. E non soltanto cultura letteraria ma, sempre grazie all’input originario di Marica e compagni, questo libro attesta come tutte le arti fossero in primo piano, anche la pittura, anche la musica. Tutto ciò è sempre puntualmente testimoniato da Masia che con pazienza certosina ha ritrovato un catalogo della Prima Mostra di artisti sardi a Roma, dove compaiono i nomi che saranno i maestri del Novecento in Sardegna e nella penisola: Biasi, Branca, Dessì, Spada, Figari, Silecchia, ecc. Ho scritto che Masia ha raccolto tutto questo materiale con “pazienza certosina” ma vorrei aggiungere anche sicuramente con “l’entusiasmo del ricercatore”. Ci sono molti modi per condurre una ricerca di ricostruzione storica. Masia ha scelto una formula letteraria che sta a metà tra l’oggettività dello studioso e la soggettività dell’ionarrante. Perché questo libro può essere letto come un grande racconto, un affresco d’epoca che giunge fino a noi grazie alla penna di uno scrittore. E Antonio Maria Masia non può nascondere di essere tale, uno scrittore appunto, anche se per modestia non aggiunge alcuna notizia di questa sua attività, di poeta e scrittore, nella casella di presidente del Gremio ricoperta fino ai giorni nostri. Masia ha dunque utilizzato una contaminazione di stili, dal memorialistico al documentario, dal colloquiale all’elencatorio, riuscendo a produrre un’opera approfondita ed esauriente di ricostruzione storica. La forte personalità di scrittura rende però questo “racconto” non soltanto una storia dell’Associazione sarda a Roma ma anche e soprattutto un vero e proprio libro di Antonio Maria Masia. Premessa“Il vero è solo titolo di ammissione al Gremio sarà quindi la volontà di sacrificare tempo, denaro e salute per l’affermazione della Sardegna (Pasquale Marica)”. Scrivere la storia del Gremio Dapprima una vaga idea, una piccola voglia subito accantonata, ma in fondo mai completamente abbandonata. Poi un progetto dell’Associazione, e per me un desiderio, un impegno, un dovere da adempiere. Prima un approccio sommario e superficiale, poi a capofitto, con emozione e timore, in un mare sconosciuto e verso un approdo tutto da scoprire. Ma da scoprire, e dove ancorare definitivamente la navicella. Così, dopo aver letto e riletto centinaia e centinaia di documenti, fogli ingialliti dal tempo ed in avanzato stato di usura, annate su annate di verbali di assemblee e di direttivi, dopo aver esaminato una quantità enorme di fotografie, quasi tutte senza data e prive di riferimenti agli episodi “immortalati”, dopo aver consultato archivi e raccolte presso diverse biblioteche, da solo o in compagnia di amici e di preziosi e impagabili collaboratori del Gremio, ho iniziato a pensare concretamente alla realizzazione di un volume che raccontasse onestamente la “storia” del nostro Sodalizio, di questo volume che vuole essere anche un album di immagini. Facendo con ciò seguito e doverosa “riparazione” al breve e sommario resoconto iniziale, non esente purtroppo da errori anche non lievi (inevitabili allora, in mancanza di fonti sicure e forse anche di determinazione a cercarle), a firma mia e di Maria Vittoria Migaleddu, (a quel tempo, nel 2008, con me vicepresidente dell’Associazione), intitolato “Appunti per una storia del Gremio”. Appunti che dovevano servire come prima base e spunto per una successiva ricerca più vasta e accurata. Non è stato facile trovare subito le motivazioni per un “lavoro” tanto faticoso e complicato. Spesso mi sono chiesto ma che senso ha, al giorno d’oggi, riprendere dall’inizio un lunghissimo filo, di cui non si riusciva a trovare il punto di partenza? ed a quale fine tanto “lavoro”? E’ importante fare il racconto dell’’Associazione dei Sardi in Roma dal suo apparire? E cosa mai di interessante e di significativo ha rappresentato il Gremio per dare alla sua vicenda la dignità, più o meno riuscita, di un libro? Dubbi e interrogativi accresciuti anche dal pensiero dell’impegno e della fatica alla quale mi sarei sottoposto, nel riprendere quel filo lontano e di nuovo tesserne la trama e l’ordito. Ma, strada facendo, rovistando con sarda testardaggine fra carte e foto, seppure con la preoccupazione dell’oneroso sentiero da percorrere, ho trovato finalmente le molle psicologiche interne adeguate alla bisogna, quelle indispensabili per portare a termine un progetto di questo tipo. Oltre naturalmente il primario e basilare desiderio di raccontare una storia che sentivo essere importante e di qualità per la nostra Isola. Via via si sono manifestati sempre più intensi gli stimoli necessari all’impresa, anche alimentati, lo confesso subito, da un forte e crescente impulso, non disgiunto da una leggera ma persistente venatura polemica quasi di rivalsa “morale”. Ecco: il “parto”, lungo e complicato, mi avrebbe dato l’occasione per togliermi, come suol dirsi, qualche sassolino dalla scarpa, anche e soprattutto per conto del Gremio e di personaggi che non ci sono più. Mi spiego. In primis dovevo un risarcimento. Avendo finalmente “incontrato” in questo percorso il personaggio che è stato il pilastro fondante dell’Associazione, caduto stranamente, dopo la sua scomparsa circa 35 anni fa, nell’oblio e nella dimenticanza generalizzata, ho sentito forte la determinazione e il dovere di farlo riaffiorare ai nostri ricordi, di restituirgli la memoria storica, insomma di ridare il giusto riconoscimento al “Padre” del Gremio. Non è l’unico, ma, poiché è stato il primo e l’iniziatore di tutta questa storia, è importantissimo e fondamentale. Ridare quindi luce a chi, non si capisce perché, l’aveva ormai persa da decenni. In secondo luogo, volevo un risarcimento. Mi pongo, infatti, con questa iniziativa, il tentativo di incidere, sperando di modificarle, sulle valutazioni e considerazioni non sempre positive nei confronti del Gremio, da parte di terzi, riscontrate nel corso degli anni o direttamente o attraverso i documenti consultati. A volte, parlando del Gremio e della sua attività, ho incontrato negli interlocutori, anche quelli istituzionali, che si presume debbano conoscere le cose, una sorta di freddezza e di poca attenzione, in alcuni casi di sottostima. Perché Il Gremio veniva considerato, a mio avviso erroneamente e con molta superficialità, un riservato ed elitario gruppo di notabili, di persone altolocate e snob, di intellettuali con un po’ di “puzza sotto il naso”? Perché si dava risalto solo alla sua, pur pregiata, attività culturale e si trascurava invece il fatto che non si era mai astenuto da quella di carattere sociale e solidale, alla quale si dedicarono, successivamente intorno alla fine degli anni 60/70, altri Circoli, sorti in Italia e nel mondo su spunto e a sostegno della politica della Regione Sarda a favore dei suoi emigrati? Un altro pregiudizio, questo, forse, non completamente infondato, ha sempre circondato il Gremio: l’attribuzione di una sua appartenenza politica alla Destra in genere, considerato che i suoi principali esponenti sono stati, nel corso dei primi cinquant’anni, o intellettuali o politici impegnati in quell’area definita prevalentemente democristiana. A confutare in parte questo preconcetto osservo che, ove sostenibile, la citata collocazione politica non ha mai fatto venire meno il precetto costitutivo e statutario di “apoliticità” del Gremio, previsto sin dall’origine sempre ripetuto e rispettato: Art. 2 – L’Associazione è assolutamente apolitica e nel suo ambito è assolutamente vietata ogni iniziativa, attività, o manifestazione che sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, persegua comunque scopi di propaganda politica. L’Associazione non ha finalità di lucro Da rilevare inoltre che questa attribuita “coloritura” di Destra, se inizialmente ha un tantino aiutato l’Associazione per la facilità e la vicinanza di relazioni con i vertici della Regione Sarda (i cui presidenti quello della giunta e quello del Consiglio facevano di diritto parte dei soci onorari del Sodalizio e che spesso gratificheranno il Gremio di visite, conferenze ed anche di piccoli aiuti finanziari) in seguito però gli ha procurato delle vere e proprie difficoltà. La permanente, a volte rilevante e a volte meno, “diffidenza e lontananza” da parte di quei Circoli o Centri Sociali, nati dopo (organizzatisi successivamente in Federazione) ed improntati, quasi naturalmente, a “coloriture” di Sinistra non sarà indifferente rispetto a certi giudizi e, ad esempio, allo stabile accesso alle fonti di finanziamento predisposti sul tema da parte della regione Sarda. Vedremo, infatti, che a partire dalla nascita ufficiale, nel 1973/1975, della “Lega dei Circoli Sardi dell’emigrazione”, fondata con merito da Tullio Locci di Villasor (allora presidente del Circolo di Savona), si renderà indispensabile, per i singoli Circoli, aderirvi. Condizione obbligata per essere riconosciuti dalla Regione Sarda e quindi beneficiare del contributo pubblico dello specifico Fondo Sociale per l’emigrazione. Aiuto inizialmente previsto a sostegno dell’attività sociale di assistenza agli emigrati in difficoltà e in seguito, affievolitasi o venuta meno tale esigenza, consentito a compenso, seppure parziale, dell’attività di rappresentanza e “propaganda” svolta dai Circoli a favore della cultura e dell’economia dell’Isola. Tale contributo, peraltro, è sempre stato a rischio di importo e di tempi di erogazione; e se ora vogliamo parlare di questi tempi, ad altissimo rischio! Ma questo aspetto, se del caso, farà capolino più avanti. Il Gremio, lo vedremo, inizialmente non entra nella Lega che assumerà, nel corso del 1° Congresso tenutosi a Roma nel febbraio del 1994, la denominazione attuale di F.A.S.I Federazione delle Associazioni Sarde in Italia (più brevemente d’ora in poi FASI) e viene, di conseguenza, escluso dai contributi. Diversi anni dopo vi aderirà, ma ancora più tardi avrà accesso ai contributi. Per inciso, non posso, a questo punto, non rilevare la grande e determinante importanza della fondazione della Federazione e del suo costante “servizio” svolto a favore dei Circoli, nonchè la determinante funzione in termini di mediazione e di influenza sulle politiche della regione nel settore dell’emigrazione. Una catalogazione, insomma, quella attribuita al Gremio, nell’area del “don Camillo” di turno, spesso strumentalmente non benevola, che lo relegava in secondo piano rispetto ai Circoli, stimati invece nel circuito dell’antagonista ”onorevole Peppone”, che proliferarono, da Roma inclusa in su, a partire da quella prima legge sul “Fondo di Solidarietà regionale” del 1965 concepita per l’assistenza ai corregionali “sbarcati” a Roma e dappertutto nel mondo, alla ricerca, disperata a quei tempi, di lavoro, dignità e futuro e con enormi disagi di accoglienza e di inserimento. Destra e Sinistra, d’altronde, fortemente contrapposte in chiave ideologica, hanno caratterizzato la vita sociale e politica dell’Italia negli anni della ripresa post bellica e del boom economico, radicando fratture nel tessuto della Nazione, negli ambiti familiari, in quello religioso, fra gli intellettuali, gli artisti, gli operai. Spingendo in definitiva: o da una parte o dall’altra. Una sorta di inevitabilità di schieramento era quindi nelle cose: il Gremio degli intellettuali e delle personalità importanti di Roma a Destra o lì vicino, i Centri Sociali a Sinistra o lì accanto. D’accordo quasi tutti sulla patologia emigrazione, ma divisi sulla terapia! Condivise da tutti erano, infatti, le valutazioni generali del disagio poiché le condizioni di sbarco o meglio di arrivo e di inserimento erano veramente difficili ed offensive della dignità umana. Oltre che incomprensibili, perché all’interno di un unico Stato! Al punto che potrebbe apparire assurdo e paradossale anche l’utilizzo, nel linguaggio corrente, dei termini “emigrazione ed emigranti”, con tutti i possibili conseguenti significati negativi, per classificare e valutare gli spostamenti di cittadini italiani fra una regione insulare d’Italia ed il suo Continente peninsulare. Da ciò deriva, comunque, la legislazione speciale sul tema emigrazione. Diversi, però, furono i propositi, i progetti e le misure da intraprendere per la soluzione del problema, a seconda del punto di vista di osservazione e di provenienza sociale e soprattutto politica dell’osservatoreoperatore. E che questa situazione di disagio avesse maggiore percezione e sponda a Sinistra, lo si dava per scontato, era quasi inevitabile nella scia delle rivendicazioni operaie e sindacali del partito socialista e comunista. Alla Destra conservatrice veniva attribuito in genere un atteggiamento di scarsa attenzione al fenomeno o per lo meno di inadeguata reazione. Sull’emigrazione in generale ci sono, in coesistenza con molta ignoranza e diffusa sottostima di dati, migliaia di scritti, di libri e di testimonianze che andrebbero esaminate e valutate con obiettività per dare alla questione (di drammatica attuale evidenza ai giorni d’oggi) le risposte più adeguate e rispettose dei diritti dell’Uomo. Il dramma eterno delle Migrazioni, ripetuto nel tempo, è qui sotto i nostri occhi moderni di appartenenti ignavi alla stessa ed unica razza, quella umana. Tragedia ancora in attesa di una dignitosa ed equa soluzione, mentre alte e diffuse si fanno, purtroppo, le voci cialtrone e le grida spropositate di chi propugna soluzioni sommarie ed offensive dei basilari diritti naturali dell’Uomo e della Donna ad una vita decente a prescindere dal colore, dalla razza e dalla religione. I nostri Fondatori hanno dedicato scritti e convegni all’argomento, avendolo, loro più di noi, sofferto direttamente, e pure noi discendenti, nel nostro piccolo, ce ne siamo sempre occupati attraverso specifici incontri e dibattiti e grazie, di recente, a quella interessantissima, opportuna e felice operazione, in video documentari: “Mannigos de memoria” (raccolte di memorie) voluta e organizzata dalla FASI. Le differenti terapie sulla vicenda emigrazione, alla luce della specifica legge regionale in materia, hanno in qualche modo determinato comportamenti e percorsi alternativi fra i soggetti protagonisti, in particolare fra un’Associazione come il Gremio e buona parte dei Circoli. È in quel contesto che nasce il pregiudizio pungente e fastidioso, a volte dissimulato, che ha accompagnato il Gremio, quasi mai consentendo di riconoscergli la missione sociale e assistenziale realmente svolta sin dall’origine ed alla base della sua comparsa. La conferma della missione sociale la possiamo leggere nella Carta Costitutiva del Gremio, elaborata dai soci fondatori sul finire del 1948, quando, quasi in contemporanea, la nostra Isola si dotava e veniva dotata della particolare e opportuna condizione di Regione Autonoma. Privilegio, questo, figlio dello spirito e dell’anelito a traguardi di autonomismo di non pochi illustri Sardi. Privilegio, peraltro, sia detto incidentalmente, non sempre ben “utilizzato” da una classe regionale dirigente, a volte non abbastanza illuminata e lungimirante, immersasi in auto lamentazioni e sterili rimasticature delle fratture e delle continue insopportabili polemiche ricorrenti nella politica nazionale. Art, 2 della carta costitutiva del 1948: Il Gremio si propone l’affratellamento fra i soci, la loro assistenza, la valorizzazione dei sardi, soci e non soci, degni di emergere per onestà, capacità e civismo. Art. 3… per esaltare e potenziare le risorse morali, spirituali e materiali della Sardegna, parte integrante della grande patria italiana. Assistenza e valorizzazione, dunque: ecco gli obiettivi che saranno sempre presenti nei successivi statuti del Gremio, con il preciso richiamo ai grandi valori dell’onestà, capacità e civismo, nel quadro di una Italia unita e solidale. È passata invece, scusate la ripetizione, la vulgata fastidiosa e a volte malevola che, visto l’atto di nascita firmato dalla “intellighenzia” sarda in Roma dell’epoca (naturalmente personaggi di spessore per professione e per censo, avvocati, giornalisti, scrittori, magistrati, imprenditori e così via), ha “bollato” il Gremio come associazione lontana dai lavoratori e in genere dagli umili. Intenta solo ed esclusivamente ad attività culturali e ludiche, peraltro riservate a pochi eletti, con qualche esibita concessione paternalistica e filantropica di beneficenza. Il che, già di per sé, sarebbe un gran merito, perché non era facile ricominciare subito (non a caso uso il verbo col trattino), questo genere di iniziative dopo l’ubriacatura antidemocratica del ventennio fascista, che delle libere associazioni culturali aveva fatto strame, sciogliendole od irreggimentandole in cinghie di trasmissione della prosopopea mussoliniana. Ripartire a filare in maniera preziosa, come si fa con il bisso marino, le eccellenze e le prospettive culturali, storiche, geografiche ed economiche della Sardegna, le tradizioni, i cibi, i vini e i suoi artisti affermati o in erba, ha voluto dire fare qualcosa di veramente importante e soprattutto di utile per la nostra Isola e la nostra gente. Questo aspetto non va mai dimenticato quando si parla del Gremio e in generale dei Circoli Sardi nel Mondo, anche quando si fa la tara alla loro attività! E poniamoci anche una “pregunta” (domanda). Chi poteva far rinascere dalle sue ceneri, in quel tempo, la pregiata attività culturale e assistenziale di una Associazione di sardi nella Capitale se non gli intellettuali, gli artisti, gli uomini dello spettacolo e della illuminata burocrazia? Lo potevano fare gli operai e le classi più disagiate, alle prese con gravissimi problemi di base? Certamente no! e non per colpa a loro attribuibile. L’ha fatto, quindi, chi ne aveva i mezzi e gli strumenti a disposizione. Questo significa che il Gremio ha ricominciato a praticare ed operare per primo, nel 1948 agli albori della repubblica, riprendendo dal suo passato il filo culturale e morale che è alla sua origine. Successivamente, negli anni 80, passata l’esigenza e la temperie dell’emigrazione praticamente obbligata e difficile come sommariamente detto prima, l’indirizzo culturale è ridiventato patrimonio ed attività prevalente, se non esclusivo, di tutti i Circoli. Ormai, è pacifico, tutti facciamo ciò che il Gremio aveva ricominciato a rifare (capirete perché insisto, anche graficamente, su questi verbi) nel 1948: cultura, folklore ed economia, “propaganda” e “vetrina” per la Sardegna, potendo così “rivendicare”, a buona ragione, un primato. Penso, infatti, che sia la prima Associazione dei Sardi nel Continente e persino base fondante, nonché sprone per i Circoli nati successivamente, anche se si fa, come vogliamo fare, riferimento al 1948 (anno di nascita con il nome Gremio), prescindendo dal fatto che chi ha fondato il Gremio aveva già partecipato alla nascita dell’Associazione dei Sardi in Roma già attiva in maniera eclatante, come ampiamente documentato in questo volume, agli inizi del 1914. Cento anni fa! Ecco quindi esplicitata e dichiarata la mia “reazione” rispetto alla “leggenda” sottrattiva e distorsiva, sicuramente dovuta a scarsa conoscenza, che etichetta il Gremio come entità nobile, altera e in cattedra, paragonabile a quel tale insopportabile professore di cui sono numerosi gli esempi nella piccola e nella grande storia. Non è così, e lo vogliamo (mi scuso, in questo caso, per il plurale) sostenere. Proseguendo su queste premesse, ho anche pensato, come si fa di solito, con quali parole significative ed evocative, iniziare la piccola storia del Gremio, che poi tanto piccola, forse non è, se è vero com’è vero che lega e intreccia, a Roma e nel Lazio, la trama della cultura e delle tradizioni della Sardegna con la grande storia dell’economia, della politica e del progresso dell’Italia. Visto che il destino e la storia avevano portato, con mia assoluta condivisione per quel che conta (autocitazione da Kadossène: “S’istoria hat gai istabilidu/ cando Isula e Penisula hat unidu”, la storia ha così stabilito/quando Isola e Penisola ha unito), la Sardegna in dote al Continente e viceversa, era opportuno ed è stato salutare che qualcuno, nella Capitale, si occupasse anima e corpo di Kadossène (per i Fenici) o Ichnùsa o Sandalyon (per i Greci). L’ha fatto il Gremio assumendosi il compito di far conoscere e divulgare nella Capitale tutte le forme artistiche, storiche, culturali, economiche, antropologiche e sociali dell’Isola misteriosa chiamata “Sardegna quasi un Continente”, come ebbe a definirla, in un suo bel libro, quel grande poeta, scrittore, saggista, autore di trasmissioni radiofoniche e giornalista, amico del Gremio, spesso invitato come conferenziere o per presentare le sue opere. Amico che non c’è più e che si chiamava Marcello Serra. Lo “incontreremo” ancora in questo “racconto”. Non trovavo inizialmente le parole che cercavo per dare il via al racconto, perché ancora a corto di adeguate informazioni e, probabilmente, anche di ispirazione. Sino a quando, ed è cosa recente, non mi sono, finalmente, imbattuto nella decisiva consultazione di documentazione relativa al Gremio, non rinvenuta fra i numerosi, ma piuttosto confusi, faldoni presenti in sede. Consultazione consentitami da Grazia Mannironi, già vice presidente storica negli anni 80 e 90 durante il periodo di Mario Segni e poi lei stessa presidente dal 1999 al 2002, figlia di uno dei grandi del Gremio, on. Salvatore Mannironi. Di quest’ultimo ovviamente si parlerà con il merito e l’attenzione che la sua grande dedizione al Gremio ha comportato. La documentazione scritta e fotografica di cui dispone Grazia Mannironi, a titolo familiare e personale, per “dono” da parte di Remo Branca, nella foto, (Sassari 4.5.1897 – Roma 26.7.1988, artista poliedrico, di fama internazionale, illustre e storico dirigente che figura tra i fondatori) è stata fondamentale per il racconto corretto e puntuale sin dal momento creativo del Gremio, nel 1948, se non prima, nel più lontano 1914. Perché se non prima? Perché voglio, anzi devo riferirmi, anche all’Associazione dei Sardi di Roma, presente nel 1914 come si evince dagli “atti del primo Congresso regionale sardo a Roma”, di cui dirò nel prosieguo. La lettura della ulteriore documentazione, tramite grazia Mannironi, mi ha subito suggerito le parole con le quali partire per l’inizio del “racconto”. Non una frase, ma un nome ed un cognome, quelli del personaggio che, facendo leva sulla sua vasta cultura e su un amore veramente smisurato per la sua e nostra Isola, ha dato vita (con l’aiuto determinante di altri) al “Gremio”: Pasquale Marica. Ecco il nome ed il cognome per il mio primo capitolo. Pasquale Marica nei confronti del quale ho sentito il dovere, ma anche la gioia, la soddisfazione e ”l’orgoglio sardo”, del risarcimento morale alla visibilità, alla luce e ai meriti che gli spettano. Ma non mi bastava, visto il venticello polemico che ha soffiato la vela di questa narrazione. E così ho cercato e trovato anche il titolo per il secondo capitolo, suggeritomi dalla lettura degli “Atti del Congresso, tenuto in Roma in Castel S. Angelo dal 10 al 15 maggio del 1914”, promosso ed organizzato dall’Associazione fra i Sardi in Roma, come si legge nel frontespizio seguente e che vede, fra i protagonisti organizzatori, l’allora 28 enne Pasquale Marica insieme ad altri due personaggi che poi ritroveremo, nel 1948, fra i soci fondatori del Gremio: Giosuè Muzzo (libero professionista, pubblicista) e Enrico Lombardi (presidente Associazione Internazionale Arte e Pensiero). ATTI del primo Congresso Regionale Sardo tenuto in Roma in Castel S. Angelo dal 10 al 15 maggio 1914 promosso e organizzato dall’Associazione dei Sardi a Roma Comitato organizzatore Presidente: Crespo Comm. Felice Segretari: Arena Avv. Mario – Bardanzellu Avv. Battista – Lombardi dott. Enrico Marica dott. Pasquale – Muzzu avv.Giosuè – Serpi dott. cav. Alfonso l’evidenziatura in grassetto di alcuni nomi è mia. Ecco così il titolo del secondo capitolo, che utilizzo anche come sottotitolo per il libro e che vorrebbe essere (chissà) un po’ spiritoso, sicuramente veritiero: ha + di 100 anni, ma ne dimostra 67! Tranquillizzo subito i sotto estimatori della nostra storia, affermando che comunque ci atterremo per fissare primati e classifiche solo ai 67 (assumendo come data di nascita dell’Associazione chiamata “il gremio” il giorno di pasquetta del 1948, cioè il 29 marzo, quando “nel corso di un pranzo organizzato dal conte Gianni Ticca...” come da sempre si racconta al Gremio) e non ai 100 e passa anni che peraltro ci sarebbero, anzi ci sono. Lo vedremo. Con i due titoli indicati inizio quindi il lungo cammino del Gremio e del suo progenitore… Presentazione "IL GREMIO"
Sabato 20 giugno, Casa delle Regioni, via Aldrovandi 16 Ore 18
presentazione del libro “IL GREMIO” di Antonio Maria Masia e omaggio musicale al Maestro ENNIO PORRINO (Cagliari 20.1.1910 – Roma 25.9.1959)
A cura di Neria De Giovanni e Antonio Casu per il libro, e la pianista Daniela Sabatini per l’omaggio musicale. Partecipano con l’autore, Mario Segni, Grazia Mannironi, Giovanni Antonio Cocco, Giovanni Nonne, Giovanni Battista Sotgiu, Gemma Azuni, Serafina Mascia, Tonino Mulas, Bruno Culeddu, Giorgio Ariu, Daniele Monachella, Stefania Porrino e Malgara Onnis Porrino. 432 pagine, più di 1000 nomi, più di 200 fra immagini e foto! A concludere rinfresco sulla terrazza con i prodotti sardi. (ingresso gratuito)
Pianista DANIELA SABATINI Figlia dell’ insigne pittore Sergio Sabatini, e di origini sarde per parte della nonna paterna nativa di Macomer, la pianista, compositrice, musicologa e Terziaria francescana DANIELA SABATINI ha iniziato i suoi studi musicali con la madre Giuseppina Costo Sabatini e si è diplomata giovanissima al Conservatorio di Santa Cecilia in Roma quale allieva di Guido Agosti, perfezionandosi con Carlo Zecchi, Vincenzo Vitale e il polacco Ludwik Stefanski, studiando inoltre alla Scuola di Paleografia e Filologia Musicale di Cremona (Università degli Studi di Pavia). Autentica ambasciatrice della musica italiana nel mondo, svolge intensa e brillante attività concertistica in Italia ed all’ estero (dal Giappone alla Spagna, dall’Egitto alla Lituania) sia come solista sia in duo con la sorella, la violinista e Terziaria francescana Raffaella Sabatini insieme alla quale ha rappresentato la musica ed i musicisti alla presenza di PAPA GIOV ANNI PAOLO II durante il Giubileo degli Artisti. Oltre a collaborazioni con prestigiose orchestre, Ensembles e solisti e partecipazioni a Festivals musicali internazionali, ha al suo attivo un’ ampia discografia con numerose prime esecuzioni mondiali (Philips, Dynamic, Elledici) e la realizzazione di trasmissioni da lei ideate e curate per la Rai. E’ inoltre attiva sia come docente in MasterClass, Corsi di perfezionamento e Seminari di Studi internazionali sia come autrice di varie composizioni e pubblicazioni. Premio “Karol Szymanowski”, è stata insignita per i suoi numerosi meriti artistici, didattici e musicali di prestigiose onorificenze fra cui l’ Ordine al Merito della Cultura Polacca e di Commendatore della Repubblica Italiana, su “motu proprio” del Presidente della Repubblica. E’ autrice di composizioni ispirate alla Sardegna quali il “Requiem sardo” e la Messa “Ut unum sint” in onore della Beata Maria Gabriella Sagheddu dell’ Unità (Dorgali, 17 marzo 1914 - Grottaferrata, 23 aprile 1939). La sua biografia figura nel “Grande Dizionario Enciclopedico della Musica e dei Musicisti” (Deumm) della Utet. Programma Giugno2015
Mercledì 3 Giugno a partire dalle ore 17 al cinema Trevi della Cineteca Nazionale per la serie: “Incontri con il cinema Sardo”
- LA GITA di Giampiero Bazzu
Sabato 06 Giugno alle ore 17,30, in sala Italia, con la Gia Comunicazione di Giorgio Ariu e del CORECOM Sardegna, a sostegno e diffusione della Lingua Sarda,
ore 18,30, in sala Italia e terrazzo, presentazione del libro “IL GREMIO” (ha + di 100 anni, ma ne dimostra 67!) di Antonio Maria Masia. La storia del Gremio che l’Associazione ha voluto che, finalmente, si scrivesse secondo documentazioni e immagini, a partire dal suo fondatore Pasquale Marica e fino ai giorni d’oggi attraverso le diverse presidenze che si sono avvicendate nel tempo…). Del Libro, ora in stampa, anticipiamo la copertina: da sx in alto: Pasquale Marica, Siro Fadda, Tullio Torchiani, Cesare Ordioni,
A conclusione un brindisi con i prodotti sardi.
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